IL Son Cubano


Il son è un genere musicale cubano nato nelle provincie orientali, e caratterizzato dalla sonorità degli strumenti a corda, prima la chitarra e in seguito il tres, al quale si sono uniti con il tempo alcuni strumenti percussivi creoli come bongò, clave e maracas.
Il primo elemento che diede il via alla formazione del genere fu la convergenza degli elementi musicali spagnoli ed africani. Ciò si evince dalla presenza in tutti questi luoghi, di musiche locali accomunate da questa fusione chitarra-percussione: tamborito a Panamá, porro in Colombia, sucu-sucu nella Isla de los Pinos, son e changüí nella provincia orientale di Cuba, merengue a Santo Domingo, plena a Puerto Rico. Tra tutte, il son è quella che si è sviluppata maggiormente, raggiungendo una struttura che lo ha fatto uscire dalla dimensione di musica provinciale che aveva al principio.
Il son è stato per lungo tempo un suonare di voci e strumenti, mentre inizia ad assestarsi su di un binario ben definito dopo l’arrivo dei neri francesi a Santiago. Il ritmo deriva sempre dal ritmo de tango, che ha influenzato quasi tutti i generi dell’intero continente, mentre l’esecuzione e lo spirito si sono differenziati totalmente dagli altri generi per una serie di circostanze particolari. Fino ad allora non si poteva definire che Cuba avesse inventato un ritmo, si erano assimilati dei ritmi che furono trasformati, per un processo intermigratorio in tutto il continente, in abitudini interpretative, le cosiddette atmosfere locali, costituite da una serie di fattori imponderabili che differenziarono il ritmo de tango a seconda della musica del paese a cui fosse applicato, rendendolo proprio di quella nazione; ne è un esempio il cinquillo, che assume diversa connotazione se utilizzato nel merengue dominicano o nel danzón ed il bolero cubano, senza però costituire un’invenzione di un nuovo ritmo.
Nel XVIII secolo appaiono i primi germogli di quello che possiamo definire creolismo musicale. Tuttavia, solo nella seconda metà del XIX secolo nascono i primi due generi della musica cubana che andranno ad incidere sul suo sviluppo: la contradanza ed il danzon, e con essi, le prime manifestazioni del son.
Il son, secondo Alejo Carpenter (1904-1980), “ha gli stessi elementi costitutivi del danzon. Però entrambi si differenziarono totalmente per una questione di traiettoria. La contradanza era un ballo da salone, il son era un ballo assolutamente popolare. La contradanza si eseguiva con orchestra, il son fu canto con accompagnamento di percussioni. E ciò, senza dubbio, costituisce la sua migliore garanzia di originalità. Grazie al son, la percussione afrocubana, confinata in barracones e quartieri popolari, rivelò le sue meravigliose risorse espressive, raggiungendo una categoria universale”.
Nella sua formazione influirono i ritmi ed il modo di cantare dei neri africani, che arrivarono attraverso la Spagna dall’inizio della conquista; però fu a Cuba dove il son nacque definitivamente, per poi, estendersi nel resto dei caraibi e dell’America Latina, dando origine ad altre modalità in alcuni paesi dell’area.
A Cuba si denominò son una qualsiasi aria musicale melodica e ritmica, però col tempo il contenuto di questa parola iniziò a cambiare, fino ad assumere il significato di uno stile di canto e ballo, con una struttura di ritornello-canzone-ritornello.
Come ogni genere musicale di origine popolare, il son si evolse dalla sua forma più primitiva fino a raggiungere configurazioni più complesse, grazie ad artisti anonimi, che apportarono nuovi elementi ritmici, corali e strumentali, soprattutto nella provincia orientale. Non avendo un formato strumentale definito, qualsiasi strumento, anche inventato o improvvisato con gli utensili più disparati, insieme ad un gruppo di persone era sufficiente a formare un son. Così nelle zone orientali del paese nacque un tipo di gruppo chiamato bunga e composta, non in modo stabile, da una chitarra e un tres, mentre il canto era eseguito dagli stessi musicisti.
Già in questa epoca esistono modalità del son montuno, quello che veniva dalle zone montane, ed in alcune località della Sierra Maestra si sono trovate tracce di son antichissimi, cosi come nella zona di Guantanamo ed in particolare nei territori di Yateras e Baracoa, modalità come il kiribà ed il nengón, antenati di questa magnifica variante del son chiamata changüí. Mentre nella Isla de los Pinos nacque la variante del sucu-sucu.
Il son è composto da due parti, una lirica ed una ritmica. Nella prima parte, chiamata son, il cantante racconta il tema della canzone, con un’esposizione stile romance (da antiche reminescenze santiaguere), cantato in un tempo pausato e per una sola volta; mentre nella seconda parte, il montuno, duetta con il coro, improvvisando ed alternando i suoi versi con il ritornello ripetuto dal coro ad libitum, in un botta e risposta di tipica provenienza africana e caratterizzato da una leggera ma costante accelerazione del tempo, all’interno del quale potevano improvvisarsi le variazioni per un tempo indefinito. Questa singolare forma è di tipo responsoriale, ovvero costituita dall’alternanza tra verso e ritornello, tra solista e coro.
Intanto alla chitarra e la bandurria spagnole si sostituirono il tres, accompagnato da botija e marimbula, due tipi di contrabbassi popolari. Ma il salto di qualità nel gusto del popolo avvenne con l’ingresso del bongò, strumento afrocubano dal suono acuto, che nella seconda parte del brano era affiancato da un cencerro colpito con un bastoncino. Quando s’iniziò ad utilizzare anche le maracas, la formazione tipica del son divenne: chitarra, tres, maracas, clave, bongò e marimbula; questo era il sestetto tipico del son, che diventava settetto con l’aggiunta di un'altra chitarra o della botija.

Il gran merito del son è nel fatto che la libertà offerta alla spontaneità dell’espressione popolare propiziò l’invenzione del ritmo. Iniziò una vera fase creativa e ogni orchestra suonava in modo diverso, emancipandosi completamente dalla tradizione ritmica che aveva caratterizzato il XIX secolo.
Grazie al son la percussione afrocubana ha l’opportunità di mostrare la sua immensa espressività, fino ad allora confinata nei quartieri neri, mentre l’utilizzo della percussione afrocubana rende il son più originale. Infatti va sottolineato che fino al 1920, per quanto riguarda gli strumenti a batteria, le orchestre conoscevano solo timbales, güiro e clave, mentre le maracas sono utilizzate in modo limitato. Grande fu lo stupore nel vedere per la prima volta gli strumenti venuti da Oriente: la marímbula (di origine dominicana), la quijada (o jaw-bone), il bongó, i timbales creoli, econ e cencerro (campane di metallo percosse con un bastoncino di ferro), la botijuela (vaso di terracotta con il collo stretto su cui si appoggiano le labbra e da cui fuoriesce un suono tipo contrabbasso), il diente de arado (dal suono del cencerro grave).
Botija e marimbula, vista la loro scarsa sonorità, furono presto rimpiazzate dal contrabbasso. Successivamente al conjunto si aggiunse una tromba e perfino un pianino verticale, pur continuando a chiamarsi septeto.
La grande rivoluzione operata dalla batteria del son, consistette nel darci “il senso della poliritmia sottoposta a un’unità di tempo”: all’interno di un tempo generale ogni elemento percussivo aveva vita autonoma, se botijuela e diente de arado hanno una funzione scansionale, il timbal pratica le variazioni ritmiche, se la marímbula lavora solo su tre o quattro note, marcando le armonie con insistenza di basso continuo, il tres ha una funzione cadenzale, mentre il bongó era più libero; tutti gli altri elementi agivano in base alle rispettive possibilità ed ammettendo la fantasia dell’esecutore.
La sovrapposizione di più elementi nella stessa frangia sonora è un elemento prettamente africano. Si è passati quindi dal singolo cantore che accompagnava con la chitarra i suoi motivi, a sestetti e settetti, per arrivare alle orchestre di tredici, quindici e sedici musicisti odierne.
“Los ombre no lloran”, “Maldita timidez”, “Esas no son cubanas”, “Papá Montero”, “Mujeres no se derma” e “Las cuatros palomas”, sono i son più rappresentativi della prima decade della sua comparsa, dal 1920 al 1930. I testi sono prettamente a tematica popolare e la struttura che alterna ripetutamente le varie strofe allo stesso ritornello, trasforma il messaggio del musicista in un inno nelle bocche del popolo, confermato dal carattere collettivo del ritornello. Siamo intorno agli anni venti quando il son giunse a La Habana, riscuotendo un immenso successo popolare e facendo storcere il naso ai saloni aristocratici dove era in voga il danzon.
Fu a La Habana dove il son raggiunse la sua forma più complessa, con la sostituzione di molti strumenti originali, come la botija e la marimbula, con il contrabbasso, e dove nascono i sestetti, che si trasformano in settetti quando fu incorporato la cornetta, che subito sarà sostituita dalla tromba.
Con questo schema nacque il primo gruppo Típico Oriental, di Guillermo Castello, che includendo una chitarra e le maracas si convertì, nel 1920, nel Sexteto Habanero. La nuova sonorità del son, con la percussiva risonanza del tres e del bongó che produceva schemi ritmici virtuosi, rivoluzionò i nostri saloni, essendo già stato accettato come ballo di coppia al pari di quelli precedenti e provocò l’apparizione di numerosi conjunti: Sexteto de Boloña, Estudiantina oriental, Sexteto de Occidente, Sexteto de Enriso, Ronda Lirica Oriental, la Sonora Matancera, ecc.
Il Cuarteto Oriental diretto da Ricardo Martinez (gruppo che costituirà il fulcro di quello che nel 1920 sarà il Sexteto Habanero), nel 1918 fu uno dei primissimi gruppi di son ad utilizzare il formato di sestetto, che da quel momento divenne il formato strumentale basico del genere. Nel 1925 salì alla ribalta il Trio Matamoros e nel 1927, il Septeto Nacional di Ignacio Piñeiro (detto il poeta del son).
Le neonate registrazioni discografiche aiutarono a fissare gli stampi fondamentali del genere (formato strumentale, modo di cantare, modo di suonare il tres, la cornetta o la tromba, prevalenza del bongò come motore ritmico fondamentale) ed il son iniziò a diffondersi e piacere anche negli Stati Uniti ed Europa. Sarà proprio New York ad accogliere e rendere questo genere suo, intravedendo il giro commerciale che si sarebbe scatenato alcuni decenni dopo, negli anni sessanta, con il movimento della salsa.
Il primo grande momento del son e della musica cubana in generale negli Stati Uniti, avviene con l’arrivo nel 1930 della orchestra Havana Casino, di Don Azpiazu (1893-1943), con Mario Bauzá (1911-1993) al clarinetto, Julio Cueva alla trombetta ed il cantante Antonio Machin (1900-1977 e detto Pico de Oro). Da allora, il son non ha più smesso di essere ballato ed ascoltato a New York ed in altre città degli Stati Uniti, non solo per l’esistenza di una comunità cubana nel paese ma, soprattutto, per l’ambiente latino americano e caraibico che esisteva li.
Oltre a Don Azpiazu e Havana Casino, in quegli anni diffusero la musica cubana negli Stati Uniti il Septeto Nacional di Ignacio Piñeiro, Frank Grillo (meglio conosciuto con il nome di Machito)  come cantante del gruppo Estrellas Habaneras e della Siboney del violinista e saxofonista Alberto Iznaga. Nel 1932 Don Azpiazu vola a Parigi ottenendo un grandissimo successo con “El manisero” e rubando il cuore dei parigini a jazz e tango. A Parigi si ritrovarono molti artisti: Moises Simons, Eliseo Grenet, Julio Cueva, Heriberto Rico, Fernando Collazo. Ma l’attrazione dei ballerini era sempre per l’orchestra di Don Azpiazu, che diffonde il son anche in altre città europee.
Gli anni quaranta sono la decade dei conjunti. Uno dei primi e più importanti è quello del tresero e compositore Arsenio Rodriguez, che genera il primo grande cambio nel son, trasformando il settetto di in conjunto, e dando il via ad un’evoluzione che ancora è terminata.
In quegli anni a Cuba era in voga anche il Conjunto Casino, che si distinse anche con altri generi come guaracha e bolero, grazie alla voce del suo cantante, Roberto Faz, considerato uno dei più grandi musicisti cubani.
Parallelamente, a New York, nel 1940, si creava l’orchestra afro-cubans, del cantante e compositore Machito (Frank Grillo), alla quale nel 1941, s’incorporava come direttore, il sassofonista, trombettista e compositore Mario Bauzá e successivamente, il timbalero portoricano Tito Puente.
Gli anni cinquanta segna un altro decennio importante per il son. Nello stesso momento nascono il chachacha di Enrique Jorrin, il mambo di Perez Prado, e la carismatica e singolare figura di Benny Moré, che con la sua Banda Gigante, orchestra di tipo jazz, non solo cambiò ed ampliò il timbro di settetti e conjunti, ma con le sue interpretazioni fece raggiungere al son una nuova dimensione espressiva, creativa.
Un altro gruppo di grande popolarità in quell’epoca fu la Sonora Matancera, fondamentalmente come conjunto accompagnante delle grandi voci, tra le quali quella di Celia Cruz.
S’imponeva anche l’orchestra di Felix Chappotin (separatosi dall’orchestra di Arsenio Rodriguez), con il cantante Miguelito Cuní, oltre a quelle di Roberto Faz (separatori dal Conjunto Casino), i conjunti Colonial di Nelo Sosa e Rumbavana del pianista ed arrangiatore Joseito Gonzalez.
Iniziarono a diffondersi le orchestre di charanga, dal successo avuto da quella formata dal compositore cubano Gilberto Valdes, che culminarono nello strepitoso successo che l’orchestra Fajardo y sus Estrellas ebbe a New York, apripista del successivo ed imminente arrivo della salsa.

Articolo a cura di Giuseppe Lago